Recensioni

15 giugno 2015 ,
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Per Luigi Spano’
Spano’ ha una specie di cura maniacale della materia pittorica. E’ come una gemma preziosa, una sostanza raffinatissima da cui il maestro estrae una sorta di quint’essenza, delicatissima e intima.
Ma con questa materia sensibile elabora immagini di una forza e di una energia veramente rare. Aggressivo, lo si direbbe alla prima, misto di ironia e di tragedia, non facilmente inquadrabile nel suo sentimento, se ilare o risentito.
L’invito evidente che promana, in ogni caso, dai suoi quadri e’ a entrare in un tragitto e a percorrerlo integralmente per vedere dove arriva la fine e se c’e’ un vero finale per il suo innato senso del racconto.
Tutto farebbe pensare, infatti, che il maestro pensi la pittura come un racconto continuo che scorre nei misteri del bosco e dell’infanzia, si inoltra nei sentieri della fantasia e si arrampica su ostacoli iperbolici e imprevedibili. Sembra il fondo degli Elfi e degli Gnomi della favola, richiamati a popolare l’universo della pittura da un novello Tolkien rivisitato sulle suggestioni del fiabesco quotidiano, fa nutrito di nuove visioni rispetto a quel venerando e rispettabile universo di filologia immaginaria.
Sembra il cammino di Alice nel Paese delle meraviglie, di E.T., delle storie moderne pensate con gli effetti speciali della cinematografia. E come ogni dimensione fiabesca il mondo di Spano’ ha i suoi personaggi. Il rospo gigantesco, i pesci sbalorditi e antropomorfi, le sirene e i maghi. Sembrano sogni. Ma, avverte il maestro che dosa attentamente le titolazioni delle opere e pretende che si rifletta a cio’ che fa, i sogni hanno l’ambizione del reale, anzi solo reali. Cosi’ si comincia a pensare meglio e ci si chiede se l’idea di Spano’, sia veramente la rappresentazione dei sogni, dell’incubo o, piuttosto, di quella ossessione propria al sogno che deforma i confini della realta’ fa non li ignora.
A ben vedere i suoi personaggi sono per lo piu’ esterrefatti delle loro stesse visioni. Abitano nel fondo del lontano e del vicino, assumono forme vegetali che sono forme animali o viceversa. Stanno in bilico su quell’orlo che separa la verita’ dalla metamorfosi incessante della forma. Cosi’ come, una volta, i bambini nascevano dai cavoli e venivano rapiti da mostriciattoli gravidi di allusioni, anche in direzione dell’immaginario sessuale.
Loro delle forme, le filigrane di un Oriente immaginario, velano e disvelano queste figure in costante animazione. E, come in tutte le dimensioni fiabesche, spuntano al fitto intrico mani misteriose, figure baluginanti, streghe che possono predire il futuro, tipo quelle del Macbeth. Il fondo di Spano’ e’, dunque, un vero universo della immaginazione, che pretende a una propria unitarieta’ e richiede una lettura circostanziata perche’ l’insigne maestro non gioca con le forme e non ha il gioco a proprio obiettivo. Tutt’altro! Spano’ e’ un artista originale e pieno di estro audace e malinconico nello stesso tempo. Un suo grande quadro si intitola “c’erano ancora una volta” ed e’ una sorta di divertito emblema della sua capacita’ narrativa, della sua saggia ironia, e del suo acuto impegno. Ma folto interessante e’ il suo rapporto con la tradizione, pieno e convinto. Non e’ facile trovare dei referenti precisi per questo maestro anche se critici insigni hanno intravisto una base formativa che affonda le sue origini in certi aspetti della figurativita’ del meridione d’Italia, cui Spano’ appartiene, e ne hanno messo in luce anche singolari relazioni con momenti dell’espressionismo tedesco. Idee giuste, indubbiamente, ma che dicono poco della vera sostanza dello stile di Spano’, che e’ educato a una lunga e amorevole frequentazione della grande pittura antica e moderna ma possiede, nel contempo, una sua tessitura incomparabile, mista di morbidezza e di asprezza, di eleganza sovrana e di scarti dalla norma altrettanto eleganti e coinvolgenti.
E’ lecito parlare, per lui, di un fondo figurativo costruito con la pazienza del ricercatore e la rapidita’ dell’ispirazione. La serie delle opere recenti la dice lunga sulla sua attitudine affabulatoria e sul fascino indubbio delle sue immagini che sembrano scaturite da una mente naturalmente orientata alla seduzione della forma; ma e’ una seduzione intellettuale dentro cui preme una urgenza di sentimento che non puo’ non essere percepita da un osservatore attento e appassionato. Ne scaturisce una personalita’ di artista sensibilissimo e argutamente presente nel dibattito contemporaneo il cui itinerario e’ giunto a un alto livello di maturita’ manifestando una autentica capacita’ di comunicazione e un coinvolgimento che e’ raro oggi trovare.
Claudio Strinati
Roma, luglio 2001

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Realta’ del sogno
Si puo’ dire con larga approssimazione che la pittura di Luigi Spano’ si rinnova gradualmente attraverso cicli decennali, ognuno dei quali segna un tempo compatibile con una serie di sperimentazioni tecniche e formali che vengono recuperate in senso profondamente innovativo nel ciclo successivo. In tal modo l’arte di Spano’, pur conservando un suo interno valore specifico che la determina come dotata di forte personalita’ e di indiscutibile unicita’, e’ messa continuamente in crisi nel suo percorso storico-biografico caratterizzandosi per l’alto tasso di irrequietezza sperimentale che determina l’energia evolutiva e l’inappagatezza formale dei risultati di volta in volta conseguiti.
Oggi siamo di fronte a una di queste svolte che inizia un nuovo ciclo nel senso che abbiamo detto, cioe’ portando a nuove soluzioni qunto gia’ risultava acquisito nelle precedenti esperienze. Le quali possono ridursi sostanzialmente a due: l’esperienza del realismo formale e tonale tributario della grande lezione di Guttuso, e quella del colore velato e levigato quasi a riflettere un anelito di classicita’ tecnica e uno stato di lucida sospensione fermato al limite di metafisiche suggestioni.
Oggi questo bagaglio sperimentale viene trasferi to quasi antifrasticamente in uno stile che recupera valori di matericita’ non bruta e inerte, ma’ sapientemente elaborata costretta alla convivenza con tutto il vissuto artistico pregresso e con l’ineffabile inquietudine d’un interiore inappagato malessere estetico esistenziale.
I fattori emergenti di questo cogente travaglio artistico sono riconducibili a tre tassonomie canoniche dell’arte pittorica di ogni tempo: la materia, la luce, la tecnica, senza ordine di privilegio interno ma con una impellente urgenza di reciproca compenetrazione. La stessa tecnica non e’ tanto il mezzo attraverso il quale raggiungono compiutezza di espressione la materia e la luce intese come protagoniste del quadro, quanto attiva compartecipazione del fenomeno creativo e in un certo senso causa determinante della definizione dei contenuti. I quali, dunque, non sono necessariamerute un “dato”, ma per cosi dire, un “dabile”, una ipotesi, una idea germinale che spetta alla tecnica portare a livello di concretezza di realta’ visibile. Dico visibile perche’ le figure, che possiamo ricondurre alla categoria di un naturalismo deformato, emergono da un mondo di oscurita’ coscienziale attraverso lo scoccare di una scintilla che diventa sorgente ininterrotta di luce. e’ la tecnica che individua il sito di quella misteriosa sorgente, ma e’ la luce che da essa promana a dare risalto all’inerzia della materia immettendola in una dialettica di chiari e oscuri mai in contrasto ma quasi morbidamente amalgamati nello stesso destino di remota significanza.
E’ quindi chiaro che gli oggetti rappresentati non sono portatori di significati inerenti alla figura, ma diventano allegoria di un mondo prefigurale nel quale si riconosce interamente l’artista e, ancora piu’ in la’, oggettivazioni di un malessere storico che investe tutta la contemporaneita’ e turba gli animi dell’intera societa’. Percio’ in fondo all’arte di Luigi Spano’, per quanto possa sembrare paradossale, c’e’ una genesi di ordine moralistico, frutto di una reazione rispetto a quelle che erano le attese d’una fanciullezza rimasta innocente nonostante tutto, ma tradita dalle deformazioni e dalle brutture del mondo. Non si spiegherebbero altrimenti non solo i riferimenti, spesso biografici, a volti e corpi di giovanetti, o soltanto a particolari di essi, ma anche quella accuratezza e pulizia del disegno che e’ in evidente contrapposizione con l’alterata visionarieta’ delle immagini. I significati di angoscioso stupore, di ironia (e autoironia) spinta fino ai limiti del sarcasmo e del grottesco nascono da questo contrasto tra la perizia e il calligrafismo dello stile e l’esasperata oggettivita’ figurale dei contenuti, divaricati su una sottile linea di controsenso e di allucinazione. Rimarchevole in questa ipotesi esegetica del momento pittorico che Spano’ sta attraversando, la tendenza a un accanimento quasi bizantino della descrizione esterna degli oggetti (si ricordino per tutto il rinoceronte e la grande coppa che fa da scena alla sortita di un onesto maiale), alla quale forse non e’ estraneo un richiamo nostalgico alla terra natia, la calabra Santa Severina: un delizioso centro denso di storia, noto per i resti di quell’arte bizantina svoltasi tra culto della minuzia e pedante esaltaziolle dell’ornato. Agisce, ancora una volta, il richiamo all’infanzia tradita, ma ritornante con ossessiva insistenza tra le pieghe di un sogno che muove arcani meccanismi in cerca di una assai improbabile pace interiore.
Insomma, Spano’ si riflette interamente nella sua pittura; si riflette in essa nello stesso momento in cui la riflette nella lucida alterita’ del pensiero. La pittura diventa il suo “cogito”, nel senso che certifica l’esistenza dell’autore collocandosi in un ambito di ontologica necessita’ che esaspera i colori del reale e del sogno. In tal modo la varace sensibilita’ del pittore fa da spola tra il dato minimalistico del particolare e il gigantismo delle immagini in una sorta di coincidenza degli opposti nei quali si disperdono indifferentemente la dilatazione e la concentrazione dell’apriori fantastico.
Tutto cio’ non e frutto di semplice intuizione, ma di costante studio che, se da una parte si estrinseca nella ricerca tecnica, dall’altra recupera valori della grande tradizione pittorica europea, i cui eseplari piu’ significativi diventano parametri di confronto e di conflitto, come succede nei rapporti edipici della patenita’ fisica e spirituale. Solo che il dissidio interiore di Spano’ invece di sortire un effetto espressionistico trova la sua pacificazione in una concezione caravaggesca della pittura, dove ogni immagine viene delineata dal contrasto tra la luce e l’ombra in un gioco che va oltre le leggi della prospettiva fisica. L’affiorare e il disperdersi d’un tono di luce e’ segno della presenza della vita, per Cui la verosimiglianza del disegno non e’ affidata tanto alla precisione dei contorni, cioe’ a un fatto esteriore, ma a una sorta di valore aggiunto che denuda l’anima degli oggetti e ne fa avvertire la interiore ambiguita’ con un procedimento che forse risale al modello goyesco.
Ma sicuramente l’autore che Spano’ piu’ sente vicino in questa fase esaltante della sua pittura e’ Rembrandt per la perfetta concezione del rapporto tra luce, spazio, forma e colore. Egli recepisce di questo maestro il processo attraverso il quale la luce, intridendosi col colore, determina la natura delle figure facendo esplodere una vibrante vitalita’ fatta di brillii, di sospiri della materia, di abbandoni inerziali, che preludono a un’atmosfera di attonito raccoglimento sulla soglia di un mistero che nessuno scandaglio potra’ mai chiarire del tutto.
Donato Valli

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